domenica 27 ottobre 2013

Just Delete Me, scopri come cancellare i tuoi account in internet

Just Delete Me è un sito web realizzato e pensato per aiutare gli utenti a gestire i propri profili online e a cancellarli.


All'interno del sito possiamo cercare un determinato servizio e scoprire se possiamo (e in alcuni casi anche come) eliminare il nostro account. Ogni servizio è classificato in base alla difficoltà di eliminazione dell'account con quattro colori diversi:

  • verde: facile
  • giallo: richiede qualche passaggio
  • rosso: non può essere cancellato completamente se non contattando il servizio di assistenza
  • nero: non può essere cancellato


Ci sorprenderemo a scoprire che su Pinterest non riusciremo ad eliminare il nostro account, così come non si riuscirà ad eliminarlo su wordpress.com.

Questo sito è un monito per ricordare all'utente che i propri profili online sono difficili da controllare e gestire, quindi prima di rilasciare tutti i nostri dati dobbiamo essere sicuri di sapere come vengono trattati e se possiamo farli eliminarli.

 

in un video tutorial le indicazioni del Garante per proteggere la privacy su smartphone e tablet

"Fatti smart!" : in un video tutorial le indicazioni del Garante per proteggere la privacy su smartphone e tablet

Milioni di persone in tutto il mondo usano smartphone e tablet per comunicare, lavorare e divertirsi. Queste tecnologie consentono di navigare sul web come se si usasse un tradizionale computer e integrano molteplici funzioni e applicazioni, che possono però rivelare molto su scelte e abitudini personali.



Nella memoria di smartphone e tablet è conservata, infatti, una grande quantità di informazioni personali spesso delicate, quali foto, filmati, messaggi, dati telematici o la posizione geografica in cui ci si trova in ogni istante della giornata.
Per comprendere a quali pericoli si può essere esposti, basti pensare che a volte si conservano in memoria anche password personali, codici di accesso e dati bancari. Le stesse comunicazioni telefoniche o i messaggi scambiati via e-mail, sms o tramite servizi messenger contengono dati personali.
Per sensibilizzare gli utenti italiani sull'importanza proteggere queste informazioni, il Garante per la protezione dei dati personali ha realizzato un video tutorial con l'obiettivo di offrire alcune semplici e utili indicazioni su come tutelare la propria privacy quando si utilizzano smartphone e tablet
Il Garante raccomanda agli utenti di adottare semplici ma fondamentali accorgimenti, di tenersi sempre informati e di gestire responsabilmente la conservazione e la condivisione di dati personali, e ricorda che è sempre possibile rivolgersi ai suoi uffici per ottenere informazioni e chiarimenti o per richiedere interventi a tutela della propria riservatezza.
Il video di animazione, intitolato "Fatti smart!", ideato per raggiungere in particolare un pubblico di utenti giovani, può essere scaricato dal sito internet dell'Autorità  www.garanteprivacy.it o visto sul canale Youtube http://www.youtube.com/videogaranteprivacy

martedì 2 marzo 2010

Sulla condanna di tre dirigenti di Google Italia per violazione della normativa sulla privacy.

Lo scorso 24 Febbraio il giudice monocratico Oscar Magi, della IV sezione penale del Tribunale di Milano, ha condannato per violazione della normativa sulla tutela dei dati personali, prevista dal decreto legislativo 193/2003, a sei mesi di reclusione tre dirigenti di Google Italia.

Sappiamo tutti che il caso che ha portato alla condanna è quello della diffusione per circa due mesi su googlevideo di un video in cui alcuni studenti di una scuola di Torino umiliavano, non solo verbalmente il loro compagno di classe affetto da una sindrome di autismo.


Leggendo il dispositivo della sentenza veniamo dunque a conoscenza che vi è stata una violazione della normativa sulla privacy, mentre il giudice ha escluso che il fatto, così’ come contestato ai dirigenti di Google, ponesse in essere gli estremi di una diffamazione.


Non sappiamo altro. Le motivazioni saranno note entro 90 giorni. Eppure, in tutto il mondo, non solo in Italia, si è già sentenziato, senza aspettare la sentenza, su un attacco alla libertà di espressione del pensiero ed un arretramento democratico del nostro Paese che si avvicinerebbe ai pericolosi sistemi censori dell’estremo oriente.


Forse è opportuno abbassare i toni del dibattito ed evitare giudizi eccessivamente tranchant che si potrebbero rilevare assai approssimativi, se non più banalmente errati, all’indomani della pubblicazione delle motivazione della sentenza.


Facciamo qui soltanto qualche osservazione a proposito, senza alcuna ambizione di esaustività.


È sbandierata da più parti la contrarietà della decisione del giudice a quanto previsto sia a livello comunitario (Direttiva 2001/31), sia a livello interno ( D.Lvo 70/03) , sull’assenza di un obbligo di sorveglianza in capo agli ISP. Ci si dimentica spesso però, a questo proposito, di fare due considerazioni che invece potrebbero avere avuto un ruolo decisivo nelle argomentazioni del giudice.


In primo luogo, essendo la condanna esclusivamente per il reato di illecito trattamento previsto dall’art. 167 Codice Privacy, potrebbe essere irrilevante richiamare la norma che all’art 16 del d.Lvo 70/03 prevede l’irresponsabilità nell'attività di memorizzazione di informazioni – hosting. Questo perché, molto semplicemente, l’art. 1 del medesimo decreto al comma due prevede che «non rientrano nel campo di applicazione del presente decreto: .......... b) le questioni relative al diritto alla riservatezza, con riguardo al trattamento dei dati personali nel settore delle telecomunicazioni di cui alla legge 31 dicembre 1996, n. 675, e al decreto legislativo 13 maggio 1998, n. 171, e successive modificazioni.


In secondo luogo,ed ancor prima da un punto di vista logico, a me pare che non sia scontato che a Google si possa applicare sic et simpliciter la normativa comunitaria (e nazionale) sulla irresponsabilità degli ISP. Per due ragioni.


La prima è di natura tecnica. La normativa in questione concepisce il provider come un soggetto terzo che non ha alcun controllo sui contenuti in quanto non ha alcuna possibilità di incidere concretamente sulle loro modalità di diffusione, ma può al massimo prestare uno spazio che poi viene gestito autonomamente dal fornitore di contenuti. Si può dire che google video ed ora di you tube, con i suoi sistemi sofisticati di filtri, indicizzazioni e categorizzazioni, non abbia alcun controllo sui dati del prestatore di servizio (condizione alla quale la normativa comunitaria subordina l’esenzione di responsabilità)?


La seconda ragione è di natura economica. È molto probabile che la direttiva sul commercio elettronico avesse in mente quegli ISP che fornivano il servizio di connessione in cambio di una contropartita economica, e non chi, come Google, fa dei guadagni non chiedendo un quid per il servizio di connessione, che è gratuito, ma lucrando sulla pubblicità che ospita la piattaforma


Infine, ci sembra che più che un problema di tutela dei diritti fondamentali,ed in particolare di lesione della libertà di espressione, alla base del caso ci sia una questione, più banalmente, di riequilibrio di business aziendali. Quanto è opportuno e quanto è conveniente che spenda in più google, se viene appurato che ha la possibilità tecnica di operare alcuni controlli, per essere in grado di rispettare la legge italiana (ed europea) sulla tutela dei dati personali?

Oreste Pollicino
Docente di diritto dell’informazione e della comunicazione
Università commerciale L. Bocconi

mercoledì 17 febbraio 2010

Illegittima la condotta dell'hosting provider che consenta il caricamento di registrazioni radiovisive

qualora le pagine che lo ospitino siano oggetto di sfruttamento pubblicitario.(Rti Reti Televisive Italiane contro YouTube LLC - Tribunale di Roma - Sezione IX civile - ordinanza 15-16 dicembre 2009)


In attesa di una regolamentazione legislativa specifica del diritto d'autore sul web (v. decreto Romani) continuano le battaglie giudiziarie tra i media tradizionali ed i colossi del web.

La pronuncia in esame trae origine dal ricorso presentato, ai sensi degli artt. 156/163 della Legge sul diritto d'autore e 669-bis e seguenti c.p.c., da Rti, Reti Televisive Italiane, nei confronti di YouTube LLC e Google Inc.

In particolare Rti, nel rivolgersi al Giudice romano, lamentava da parte di YouTube e della controllante Google Inc. - avendo questi consentito l'immissione sul proprio sito, da parte degli utenti, di puntate della serie Grande Fratello - la violazione del proprio diritto esclusivo di sfruttamento economico del programma televisivo , chiedendo che il Tribunale volesse ordinare la cessazione delle condotte assunte quali illegittime.


Nell'accogliere il ricorso cautelare di Rti il Tribunale di Roma, sul solco di un trend giudiziario che sembra consolidarsi, ha fissato alcuni interessanti principi di diritto.

Viene pertanto affermata la giurisdizione del Giudice italiano, osservando che "trattandosi di violazione di diritti connessi ex. art. 70 lda vige il principio del locus commissi delicti di cui all'art 5.3 della Convenzione di Bruxelles, cioè del luogo in cui è avvenuto l'evento dannoso e si sono verificati gli effetti pregiudizievoli per il titolare dei diritti lesi...in tal senso è ormai la giurisprudenza consolidata anche europea della Corte di Giustizia"

In altri termini, viene ribadita l'irrilevanza della "location" fisica dei server che ospitino i contenuti web assunti quali illegittimi. Il Collegio, difatti, ha ritenuto che. "l'evento del caricamento del server - ammesso che si verifica negli U.S.A. - è di per sé solo potenzialmente generatore di danno, ma in realtà privo di efficacia dannosa ed effetti pregiudizievoli, che si verificano solo e soltanto nel momento in cui i contenuti vengono diffusi nell'area di mercato ove la danneggiata esercita i suoi diritti, nella specie il territorio italiano: non può opinarsi in contrario dal momento che trattasi di programmi televisivi destinati al pubblico italiano..".

Viene, inoltre, respinta la tesi delle resistenti secondo la quale sussisterebbe "una assoluta irresponsabilità del provider che si limiterebbe a svolgere l'unica funzione di mettere a disposizione gli spazi web sui quali gli utenti gestirebbero i contenuti dagli stessi caricati...in mancanza di un obbligo di controllare i contenuti illeciti e disabilitarne l'accesso"

Il Tribunale, difatti, nell'accogliere l'orientamento giurisprudenziale secondo il quale la sussistenza di responsabilità del provider debba essere effettuata "caso per caso", ha ritenuto che "seppur non è riconducibile ad un generale obbligo di sorveglianza rispetto al contenuto non ritenendosi in grado di operare una verifica di tutti i dati trasmessi che si risolverebbe in una inaccettabile responsabilità oggettiva, tuttavia assoggetta il provider a responsabilità quando non si limiti a fornire la connessione alla rete, ma eroghi servizi aggiuntivi (per se. caching, hosting) e/o predisponga un controllo delle informazioni e, soprattutto, quando consapevole della presenza di materiale sospetto, si astenga dall'accertarne l'illiceità e dal rimuoverlo.."

In conclusione, a prescindere dalle difficoltà applicative che l'accoglimento del ricorso potrà presentare, sembra potersi affermare che tanto la pronuncia in oggetto quanto gli orientamenti più recenti delle Corti di merito e di legittimità si siano indirizzati verso la "fissazione" di alcuni punti volti a regolamentare il web c.d. 2.0 in assenza di specifiche e dettagliate disposizione normative.
Va infine segnalato che, il 12 febbraio 2010, il Tribunale di Roma ha respinto il reclamo proposto avverso l'ordinanza in oggetto.

Andrea Caristi - avvocato in Messina

sabato 2 gennaio 2010

Consapevolezza e diritto online

Intervista al Prof. Oreste Pollicino, docente di diritto pubblico comparato - Università Bocconi, Milano:

http://www.youtube.com/watch?v=zNq4wH9UHxo

Illegittima l'attività di intermediazione del peer to peer. Sequestrabilità del sito.

La Corte di Cassazione, con la pronuncia n. 49437/09 ha stabilito alcuni importanti principi di diritto in tema di liceità dell'attività dei siti che si propongano come intermediari nell'attività di file sharing in peer to peer.

In particolare la Corte, nel decidere sulla richiesta di sequestro della Procura di Bergamo nei confronti di un noto sito di intermediazione peer to peer svedese, ha stabilito che l'attività lesiva del diritto d'autore viene compiuta dall'utente attraverso l'upload del file tutelato dalle norme sul diritto d'autore.

L'attività del sito, pertanto, che si limitasse a mettere in contatto tra di loro gli utenti, fornendo esclusivamente il protocollo di comunicazione dei dati, si porrebbe in termini neutri - o, per usare un espressione della stessa Corte "agnostici" - nei confronti della condotta illecita del singolo utente che effettui l'upload di file protetti. Tuttavia, laddove il sito offra un serivizio di "indicizzazione", in tal guisa agevolando il reperimento dei soli file illeciti, non può negarsi, ad avviso della Corte, che i responsabili dello stesso concorrano nel reato.

Da ciò ne conseguono ulteriori importanti principi di diritto. In relazione alla sequestrabilità del sito, la Corte ha ritenuto che, nonostante l'immaterialità dello stesso, l'accesso al sito web possa essere "inibito" attraverso un ordine in tal senso rivolto agli Internet Service Provider operanti sul territorio nazionale.

Sotto altro profilo, la Corte ha stabilito la giurisdizione del Giudice italiano, essendo del tutto irrilevante la collocazione geografica dell'hardware di hosting del sito, laddove anche parte della condotta illecita sia consumata in Italia, nella specie attraverso la fruizione dei servizi di indicizzazione del sito da parte degli utenti nazionali.

Andrea Caristi - avvocato in Messina

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